Racconti di barre e di 'accia


Parte I
“Si fa 'na partita?” Era la semprice domanda che dava 'nizio ar gioo tra noi giovani amici della stessa età che si freguentava ' r Circolo: un giro a briscola e uno a scopa. Vinceva chi s'aggiudïava du' briscole su tre e la scopa a nove. 'N caso di parità veniva fatta la bella a briscola. La posta 'n gioo: un semprice 'affè. Io vincevo guasi sempre! Me lo permetteva una diabolïa (ma io penso benedetta) 'ombinazione di 'ulo e sapé gioà, condita co' 'na tattïa 'apace d' innervosì l' avversario in modo da rendilo men' attento e vigile quando gioava 'ontro di me. Alla fine della partita la mi' tattïa era di dinni: “È vero ch' ha' perso, però 'un ti dice mïa tanto male!” Questo bastava a fallo 'ndà 'n bestia a misura più o meno grande a seondo der su' temperamento. Devo dì che la 'osa presentava anco de' rischi; ma m' è sempre 'ndata bene! 'Na vorta, Elio, mi disse: “C'è mancato un pelo 'e ti dessi un cazzotto da accoppatti.” La reazione più spettaolare però l'ebbi con Geffe. Buttò tutte le 'arte per aria e appena tocconno 'r tavolino ce le ributtò. 'No spettaolo 'e meritava di vedello! Un artro sistema lo mettevo 'n funzione all' inizio della partita dicendo a uno de' du' avversari: ”Grazie der caffè”, sottintendendo ch' avrebbe perso di sïuro. Oppure: “Tanto perdi, è 'nutile 'e tu ti c' impegni, contro di me 'un po' mïa vince!” Quando lo dicevo a Bustino, mi rispondeva rassegnato: “Si, lo so che devo perde.”
Delle vorte, se mancava quarcuno, gioavamo anco 'on persone più vecchie di noi: Lucio di Briscola, Paolino, l' Imparino, e artri. Di 'uest' urtimo rïordo 'na prodezza ch' avea fatto: arrotà cor motorino 'na donna senza fanni gnente; le ruppe sortanto l'anello ch' avea ar dito. ('Un ho ma' 'apito 'om' abbia fatto!) Ogni tanto mi divertivo a pigliallo per er culo dicendoni:”Quando vo' montà sulle bimbe devi prima scende dar motorino!”
Parte II
L'artra 'osa 'e ci facea stà 'nsieme tra noi amici, era la 'accia. 'R primo porto d'armi lo presi a sedici anni, dopo 'e 'ndavo a caccia già da quarche anno. Lo dovetti prende perché vennero e 'arabinieri a casa invitando mi' pà a mettimi 'n regola, perché ero minorenne, e lu' firmò per autorizzammi.
La 'accia si faceva a fine estate cor cane e d' autunno e inverno alla paratella, ar passo o ar capanno. E 'ompagni di 'accia erano e soliti amici der barre più quarcuno più anziano. Tra questi c'era Geffe: un cacciatore der tutto partïolare! La mattina, ar passo, nella Piana a' primi d'ottobre, era 'apace di tirà fori le gabbie delle cesene, uccelli di passo a fine dicembre, gennaio. Alle nostre prese di 'ulo, la su' risposta era ch' eran der su' socero, e, ar buio, per 'un fassene accorge, avea sbagliato a piglià le gabbie. N' artra vorta, ar Poggio alla Nera, s' era appostati alle paratelle su una pettata. Io più 'n arto e lui più 'n basso. Lo vedevo 'e raspava di 'ontinuo co' piedi 'ome fanno 'ani. La 'osa m' incuriosì e 'ndai a domandanni che diavolo facesse! Siccome la paratella era troppo bassa e 'un c'erano delle frasche pe' arzalla, cercava d'abbassà la terra! Meno male che aveo lassato 'r fucile alla mi' paratella perché sennò ni tiravo 'na fucilata e 'un se ne parlava più!
Parte III
N'artra vorta, a Villamagna per l'apertura a fine agosto. S'era in cinque o sei, e tra questi, Inaco, 'r Pelato, Geffe, Oresto. S'era 'ndati la sera precedente l'apertura per piglià e posti, e la notte, accampati ner basso, c'era un freddo 'ane! S'accese un piccolo foo per scardassi. Dopo un po' vidi Geffe 'e prendeva de' mucchietti di paglia e li metteva vicino ar foo. La 'uriosità mi vinse e ni chiesi 'e diavolo facesse. Scardava la paglia, e poi, quand' era 'arda (?), la metteva vicino alla 'anina perché 'un avesse freddo. Anch' in quer caso er fucile purtroppo 'un era a portata di mano! Da notà che tutti s'indava a caccia cor cane, maschio o femmina 'e fosse; lui 'nvece ciaveva la 'anina: una specie di 'anetto di ' uella razza che da 'na parte abbaia e dall'artra scodinzola, ma der tutto 'ncapace di trovà 'n animale! Però nella stessa giornata ciandai anch' io vicino a piglià du' fucilate. S'avanzava ner maggese a rastrello co' 'ani avanti. A 'n certo punto er mi' Riffe, un cocherino, entrò 'n un branchetto di fagiani che a vedesselo venì addosso s'arzarono 'n volo a poi metri da dov'ero io. 'Mbracciai l' atomatïo e sparai cinque 'orpi uno dietro l'artro in rapida successione 'un chiappandone nemmeno uno! Rivonno l'amici urlando a tutto spiano perché l'aveo mandati via. Cercai di spieganni che 'un l' aveo mandati via io ma che se n'erano già 'ndati da sé quando n'aveo sparato, ma la 'osa fu controproducente. Giurarono e spergiurarono che con me a caccia 'un ci sarebbero venuti più! Per fortuna ammazzammo un istrice (sarà stato già 'ncruso tra l'animali protetti?) e la mi' 'mpresa fu dimentïata. Alla 'ottura pensò Assia der barre. Una 'osa subrime! Mi rïordo che a tavola trovai 'r sistema di mangià anco la parte d' Oresto. Avea 'ominciato a dì che a lui ni garbava poo mangiallo 'on quelle zampine che sembravano manine. Io cercai subito di 'onvincilo a 'un mangiallo dicendoni ch' era 'na femmina pregna e che con 'l' istricini Assia ciavea fatto 'r sugo per le pappardelle. Come speravo Oresto 'un mangiò gnente, io 'nvece per poo 'un e scoppiavo!
Parte IV
Le mi' prodezze venatorie 'un son ma' state tante anco perché più che artro 'ndavo a caccia d' uccellini. 'Na vorta, l' unïa della mi' vita, ero 'n Vicchio da solo e ammazzai un colombaccio. Er giorno, ar Circolo, raccontai l' impresa dicendo che aveo ammazzato du' 'olombacci. Tutti l' amici sartarono su dicendo che 'un era possibile: ar massimo la mi' 'accia potea esse stata d' un colombaccio. Ammisi ch' era vero, n' aveo ammazzato uno solo, ma feci notà che se avessi detto che n' aveo ammazzato uno, m' avrebbero torto anco 'uello e io sare' rimasto senza gnente. 'Nvece uno fu allibbrato ar mi' nome nell' arbo de' grandi 'acciatori che da quarche parte m'immaginavo esistesse! Poi c' era la 'accia ar capanno. Aveo 'ncominciato a 10 anni cor mi' zio ma mi facea tirà solo a pittirossi. Più grande, ar capanno ciandavo con Liro, un mi' amio grassone di 50 'ili a regalanni: ma 'un si fece mai der bene! 'Na vorta si fece 'r capanno nella leccetina sotto 'r Profeti, a Bersole. Per più mattine, dopo 'n po' ch' s'era fatto giorno, rivavano delle persone ch' 'un conoscevo e che entravano nella macchia uscendone 'on della roba. 'Un riuscivo a capì cosa 'ndassero a prende. 'Na mattina, preso dalla 'uriosità, (e meno male 'e dïo sempre che 'un sono 'urioso!) uscii dar capanno e ni chiesi 'osa facevano. Fu così che feci la 'onoscenza co' lardaioli rossi, uno de' funghi più boni ch' abbia ma' mangiato, speciarmente sott' oglio. 'N artro tipo di 'accia era 'uella alla paratella, la mattina a sbrillume, ar passo di tordi, merli, filunguelli e artri uccellini, o la sera ar rientro de' tordi e de' merli nelle macchie per indà a dormì. Uno de' posti meglio era nella macchia di mezzo in fondo a Biccïocchi. Si partiva 'r giorno subito dopo mangiato in 3 o 4 per prende 'r posto e poi aspettà fino all'ora der rientro dell'animali, fermi cor sole nell'occhi 'e t' acceava! Le paratelle erano tra du' macchie. 'R tempo di sparo era breve e 'r tiro difficilissimo. 'Na vorta ebbi la fortuna (sempre scarognato!) d'ammazzà un ber maschio di fagiano che traghettava dar campo davanti.
Parte V
Se oggi mi chiedono perché 'ndavo a caccia, rispondo che ci 'ndavo perché c'indavano tutti, ma più che artro perché era un modo di stà a contatto 'oll' ambiente naturale: l'animali, le piante, le telline, e funghi. Ho cominciato 'osì a 'amà la natura.
Ora ci si ritrova 'o' vecchi amici quarche vorta ar barre, ma ormai ognuno di noi ha preso la su' strada. C' è chi va sempre a caccia e chi ha smesso, 'ome me: el lavoro, la famiglia e la 'onsapevolezza che 'un si po' trovà piacé ammazzando un essere vivente! Anco a carte 'un si gioa più. C'enno rimasti solo questi rïordi della gioventù passata 'nsieme 'e ci tengono uniti.
Questo era 'r mondo ner quale vivevo 'o' mi' amici e che ho cercato di fà rivive 'on questo racconto.