Darole
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Dà a d’intende, loc. Far credere una cosa non vera. Ha’ voglia di dì, tanto ’un me la dai a d’intende! Non ero molto sicuro come scrivere la frase. Poi ho seguito la pronuncia: “un me la dai addintende”. Per cui non poteva essere “ad intende” perché si sarebbe pronunciata “adintende” senza doppia ‘d’. Inoltre mi sembra che la parola ‘di’ davanti all’infinito sia abbastanza comune.
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Dà barta (balta), loc. Rovesciarsi. Poi, giù per la discesa, ha dato barta!
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Da’ (dai) dai, loc. Prova e riprova, alla fine. Da’ dai ce l’ha fatta! - Da’ dai ce l’ha’ fatta!
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Dà di vorta ’r (il) cervello, loc. Comportarsi in maniera strana. Ma che t’ha dato di vorta ’r cervello?
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Da fà schifo, loc. Tanto, in maniera esagerata. Samo stati propio bene, s’è mangiato da fà schifo!
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Da fà schifo, loc. Male. Samo stati propio male, s’è mangiato da fà schifo!
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Da fassi, loc. Quello che si deve fare. Prima dee ’ndà a vedé. Poi deciderà ’r (il) da fassi!
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Dà la via, loc. Liberare. Danni la via! Riferito a un animale selvatico.
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Dà la via, loc. Aprire Danni la via! Riferito a un rubinetto dell’acqua.
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Dà ’na cenciata, loc. Stravincere. N’ (gli) ho dato ’na cenciata a briscola che ’un ha nemmen ’apito ’om’ (come) ha fatto a perde! È ritornato sulla Guardia ’olle penne maestre un po’ più basse! (= meno sicuro di sé).
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Dà ne’ denti, loc. Risposta per dire di no ad una richiesta. A: Me lo dai ’otesto panino? B: Te lo do si, ma ne’ denti!
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Danni, v. tr. imp. Dagli. Danni du’ (due = alcuni) scrocchi (colpi, percosse, molto forti), e vedrai si ’arma!
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Da quer dì! loc. Da tanto tempo. A: Bia ’ndà a vedé se son nati li sparagi. B: È da quer dì che te lo dio!
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Da tre passi da’ ’oglioni, loc. Via, lontano. Se ti levi da tre passi da’ ’oglioni mi fa’ un piacé!
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Dé, escl. Oh! Dé, ’un (non) vorra’ (vorrai) mia venì con noi! E (i) bimbetti dietro ’un ci si vogliano (vogliono)!
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Defettà, v. intr. Difettare. Va bene, sì, però defetta un po’!
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Degnà, v. intr. Gradire, degnare. Ne prendo un pezzettino propio per degnà.
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Delinguente, s. m. Delinquente. Se’ (sei) ma un delinguente!
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Dell’, prep. art. Degli, delle. La forma dell’archi. - E (i) gusci dell’ (delle) arselle.
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Dell’artro mondo, loc. Grande, grosso, esagerato. Ciò fatto ’na sudata dell’artro mondo a coglie le fragoline, e vedelle bruciate sulla torta, ’un m’è garbato punto!
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Delli, prep. art. Degli. Ho delli strizzoni alla pancia, dell’artro mondo!
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Deo, v. tr. (ind. pres.) Devo. ’Un po’ ’ndà (andare) a giro con cotesti pantaloni, enno frusti; ma ’un lo vedi da te, ti deo dì tutto io?
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Der resto, loc. Del resto. Der resto, anco a volé, ci sarebbe poo da fà!
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Dev’esse..., loc. Facilmente è, è facile che... Dev’esse stato Giorgio. - Dev’esse piovuto.
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Diabete, s. f. Diabete s. m. Ho fatto l’ (le) analisi e m’hanno trovato la diabete!
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Diàccio marmato, loc. Freddo come il marmo. È diàccio marmato!
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Diano (dicano), v. intr. (ind. pres.), Dicono. Stasera guardo di facci ’na scappata e sento ’osa mi dïano! - È ’nutile che dïano. Possan (possono) dì quer che ni pare. Ormai è fatta!
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Diàvolo! inter. Certo! A: L’ha fatto ’r probrema? B: Diavolo!
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Dibruà, v. tr. Dibrucare. C’è da dibruà tutto ’uer (quel) poggio, ci se n’avrà per una settimana!
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Di buzzo bono, loc. Far qualcosa bene e volentieri, con passione. Guarda se ti ci metti di buzzo bono e fa’ (fai) tutto ’uello che c’è da fà senza perde tempo!
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Dicéssite, v. tr. (Cong. Imperf.) Diceste. ’Un (non) vorrei mi dicessite di buttà tutto all’aria.
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Di chie? loc. Di chi? A: Questo libro è di Paleo. B: Di chie?
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Di chi è, loc. Il proprietario della cosa alla quale ci si riferisce. A: Mamma, ho trovato un pallone . B: Ridallo a di chi è!
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Difèndisi, v. rifl. Difendersi. Quando si son trovati davanti ar (al) giudice, n’ (gli) è preso la caona (paura) e ’un (non) son’ stati boni a difendisi.
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Di fio (fico), loc. Detto di cosa che si rompe facilmente. Il legno del fico non è resistente per niente. Sta’ (stai) attento perché l’arco è di fio!
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Di fori (fuori), loc. Di un altro paese. ’Un è di ’ui. È di fori!
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Di già, loc. Già. Se’ (sei) di già rivato? ’Un t’aspettavo ’osì presto!
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Dii, v. intr. (ind. pres.) Dici. Si, sono ’ndato a vedé nella punta ’e dii te. ’Un (non) ciò trovato nemmeno un moreccio. Tutto asciutto! - Senti te cosa vor (vole = vuole) fà. Quando vole andà a fà ’r (il) bagno me lo dii te. Si nota che viene posposto sempre il pronome personale. Non si può dire: Si, sono ’ndato (andato) a vedé (vedere) nella punta ’e dii. E nemmeno: Quando vole andà a fà ’r bagno me lo dii. Se invece di dii si usa dici il pronome non ci vuole, per cui va bene dire: Si, sono ’ndato a vedé nella punta ’e dici. E pure va bene: Quando vole andà a fà ’r bagno me lo dici. Anche se le frasi usate normalmente sono quelle con dii. Qui è interessante vedere il passaggio per cui è stata “mangiata” la ‘c’ a causa di quel fenomeno fonetico detto gorgia. La ‘c’ che viene eliminata nel parlare è quella dura e non quella dolce come in questo caso. Ma qui è intervenuto il fatto che alla prima persona, io dico, la ‘c’ è dura e quindi si dice dio. A questo punto è stata fatta la declinazione, e cioè io dio, tu dii (sentito come dichi).
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Dilanguì, v. intr. Effetto della fame che fa sentire il bisogno di mangiare, come se lo stomaco fosse annacquato! Mi sento dilanguì lo stomao. - Ciò lo stomao dilanguito. Bia (bisogna) ’e mangi ’uarcosa.
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Dilungà, v. intr. Perdere tempo, dilungare. ’Un ti dilungà tanto, c’è d’andà via!
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Di morto, avv. Molto. Prima di morì, poerino, ha patito di morto!
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Di morto, agg. Molto. Prima di morì, poerino, n’ha patite di morte!
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D’incanto, loc. Benissimo. A: Come stai? B: D’incanto! Per lo meno prima ’e tu venisse.
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Di nidio (nido), loc. Piccolo di età. E se tu voi se’ (sei) di nidio! (= E tanto sei un bimbetto!)
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Dinni, v. tr. Dirgli. C’è poo da dinni! Vor (vole = vuole) fà come ni (gli) pare! Vor fà tutto di testa sua! Er (il) probrema è ch’è ’na testa di ’azzo (= persona che non capisce niente)!
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Dio, v. tr. (ind. pres.) Dico. Ma io mi domando e dio ’ome si fa a fà le ’ose in cotesta maniera?
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Dio ce ne scampi e liberi! loc. Speriamo che non succeda una cosa temuta.
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Dio guardi, loc. Caso mai. Sta’ (stai) attento ’uando vieni via a ’un fà rumore perché se dio guardi se n’accorge enno dolori!
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Dio m’accei se ’un è vero! loc. Solenne professione di aver detto la verità.
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Di ’oppia, loc. Di coppia. Riferito a due gemelli. E son di ’oppia.
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Di ’osa, loc. Di cosa. Ma seondo te di ’osa me ne faccio di ’otesto ’atorcio (= cosa brutta e sgraziata )?
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Di ’osa sa? loc. Che motivo c’è? Ma seondo te di ’osa sa mette la granata sull’acquaio ?
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Di pedina, loc. Detto di uccello che va via senza involarsi. È ’ndato via di pedina.
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Dipromazia, s. f. Diplomazia. Nelle ’ose ci vole dipromazia.
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Diràzzola , s. f. Attrezzo con un lungo manico per levare le ragnatele dal soffitto.
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Dirci, v. intr. Essere intonato. Cotesto ’appello ci dice cor vestito.
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Dire, fare, baciare, lettera o testamento? , loc. Penitenze tra le quali il perdente ne doveva scegliere una. Le prime tre implicavano un ordine al perdente. Lettera: veniva scritta con le dita sulla schiena badando di farlo con particolare veemenza quando c’era un punto o due punti. Testamento: veniva chiesto, dietro le spalle del perdente, quanti ne voleva di nocchini, pedate, ecc. simulandoli a gesti. Da notare che non era in dialetto.
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Dirézzolo , s. m. Attrezzo con un lungo manico per levare le ragnatele dal soffitto. Nella casa dove abitavo io lo chiamavano la dirazzola. Ma era un melting pot di dialetti! Forse è fiorentino!
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Dirranno, v. tr. (ind. fut.) Diranno. Però io penso che ni (a loro) dirranno le stesse ’ose che sanno già!
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Dirresti, v. tr. (cond. pres.) Diresti. Com’esse…, (= per esempio…) se io volessi buttà tutto all’aria, ’osa dirresti?
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Di scartina, loc. Piano. E ci se’ (sei) ’ndato di scartina! La scartina è una carta di poco valore.
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Discorsi a bischero, loc. Parole senza criterio che possono offendere e portare a gravi malintesi. Óh, se ’un la smetti ’on cotesti discorsi a bischero, e mi fa’ ’ncazzà!
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Discorsi a cul’ addietro , loc. Parole dette con la stessa perspicacia usata per andare all’indietro senza vedere dove si va.
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Di sguincio, loc. Appena su una parte. L’ho preso di sguincio.
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Dissela poo, loc. Non essere d’accordo con certi comportamenti o certe situazioni. A: Er gatto di Miele ’un è più venuto? B: No, prima veniva perché con tutta ’uella ’onfusione ci se la diceva poo!
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Di strafugo, loc. Di straforo. Er (il) novo ’onsiglio (Consiglio) deve fà armeno una riunione ar mese in modo ’e ci sia più ’nformazione e ’un si venga a sapé delle ’ose decise di strafugo.
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Di tutte le razze, loc. D’ogni tipo. Libri? Ce n’ho ’na ’aterva! Di tutte le razze.
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Divertiedi v. tr. (ind. pass. rem.) Divertii. ’Un mi divertiedi punto!
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Divisa, s. f. Riga che separa i capelli. Porto la divisa a destra. (La riga di divisione dei miei capelli è sulla parte destra).
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Dó, v. intr. (ind. pres.) Dò. A: Ni dei dà la precedenza. B: O ’un ne la dó!
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Doghe, s. f. Fianchi. Se ’un la smetti ti dò ’na botta nelle doghe che vedrai mi riordi per un ber po’!
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Dolori, s. m. pl. Reumatismi. Ciò (i) dolori nelle mane, ’un le movo più!
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Dorce, s. m. Dolce. Er (il) dorce tipio Crespinese è ’r (il) buccellato.
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Dorce, agg. Dolce. Questo ’oso è dorce ’ome la sapa! O chi te l’ha dato?
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Dorce, agg. Credulone. Come se’ (sei) dorce, poerino (poverino)!
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Dorciura, s. f. Tempo più mite. È a dorciura; s’è messo a dorciura.
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Doventà, v. intr. Diventare. O come se’ (sei) ’ngrassato! Se’ doventato un maiale!
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Dovea, doveano, doveo, v. intr. (ind. imperf.) Doveva, dovevano, dovevo. Dovea venì a vedé . - Dovean venì a vedé . - Doveo venì a vedé.
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Dritto, agg. Diritto, dritto. Po’ va’ dritto finch’ ’un trovi ’na stradina sterrata.
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Drogà, v. tr. Trattare con sale, pepe, ecc. una vivanda da cucinare, drogare. Per fà ’r (il) conigliolo arrosto, va drogato bene e ni (gli) va levato ’r (il) sarvatio sulle ’osce e dentro la pancia!
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Du’ (due), s. m. Un po’ di, qualche, alcuni. Dammi du’ fii (fichi). Volendo essere sicuri che siano due bisogna specificare bene: Dammi du’ fii (fichi), du’ soli oppure Dammi du’ fii (fichi), due di numero . - Portami du’ foglie di radicchio, due di numero. - Prendine du’ soli (soltanto). - A: E poi ciò du’ pere. B: Enno tre! A: Perché se’ di Viarello e ’r crespinese ’un lo sai! Du’ vor dì quarche. Quando si vor dì due si dice due di numero.
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Du’ (duve?), avv. Dove. ’N (in) du’ se’ (sei) stato fino a ora? - Di du’ è quello lì? - ’Un so ’n du’ ’ndà!
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Dugento , agg. numerale cardinale Duecento. Parola usata da Dante, tra l’altro, nell’Inferno, Canto xxi, verso 113: “Ier, più oltre cinqu’ ore che quest’otta, mille Dugento con sessanta sei anni compié che qui la via fu rotta.”
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Dui, s. m. pl. Due. Nel gioco delle carte. Ciò du’ (due) dui!
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Dumila , s. m. Duemila. Parola usata dal Machiavelli nella Mandragola, Atto 2∘, scena VI: “Se voi avete fede in me, voi lo piglierete, e se, oggi a un anno, la vostra donna non ha un suo figliuolo in braccio, io voglio avervi a dovere dumila ducati”.
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Duro, agg. Detto di persona che non capisce molto bene. Come se’ (sei) duro!
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Duro di ’omprendonio , loc. Riferito a persona che non capisce molto bene.
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Duro ’ome la gonfolina! loc. Riferito a persona che non capisce molto bene. Se’ duro ’ome la gonfolina.
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Duro ’ome le pine verdi , loc. Riferito a persona che non vuol fare quello che gli viene richiesto.
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Duro ’om’ un ciocco! loc. Riferito a persona che non capisce molto bene. ’Un capisci proprio gnente. Se’ duro ’om un ciocco!